Da anni ci lamentiamo della scarsa importanza che i governi danno alla istruzione e alla cultura, di come un patrimonio che potrebbe sostenere l’intero Paese, venga lasciato deperire sotto le varie amministrazioni pubbliche facendolo diventare un peso anziché una risorsa. L’ultima riforma non è da meno.
La riforma culturale del ministro Franceschini ha previsto l’accesso gratuito ai musei la prima domenica di ogni mese.
Una scelta molto popolare ma poco calibrata. Questa decisione infatti permette alle persone di poter usufruire gratis dei servizi museali ma, limitandone nel tempo la disponibilità, ha creato un sovraffollamento scomposto, senza ordine ed organizzazione, dei principali luoghi turistici, in cui la gente si riversa in massa un giorno alla settimana. Non fornendo peraltro gli strumenti culturali adeguati ad una reale partecipazione.
L’intenzione è certamente quella di accostarsi al sistema inglese in cui tutti i musei nazionali sono ad entrata libera sette giorni su sette, pensando che riducendo a una sola giornata si possa ammortizzare la spesa economica.
Bisogna tener presente però che, oltre al fatto che i musei del Regno Unito permettono di spalmare l’affluenza nel corso delle giornate, il governo Britannico investe quasi 83 milioni di euro annui sulla cultura da oltre dieci anni, avendo studiato una lungimirante strategia economica su un indotto turistico di oltre 18 milioni di stranieri.
La riforma Franceschini, piuttosto che investire sulla cultura, mira al risparmio decidendo di tagliare le assunzioni ed impiegare massicciamente stagisti e volontari inesperti spesso senza competenze specifiche, aumentando la disoccupazione di giovani professionisti che dopo anni di studio si trovano senza la prospettiva di un impiego. Si preferisce piuttosto sfruttare, per poco più di 300 euro al mese, personale non preparato privando i luoghi della cultura italiana di figure specializzate, lasciando trasparire due concetti: – la cultura è poco importante e – il popolo è ignorante e non merita gente preparata.
Anche le aree ed i musei archeologici non sfuggono alla teoria del risparmio e i professionisti del settore sono costretti ad associarsi in associazioni culturali per poter lavorare a poco più di 12 euro al giorno di rimborso spese per operatore, sempre cavalcando sull’onda del volontariato in cui il ministro sta annegando gli operatori del settore ed i Beni Culturali tutti.
Questa condizione di sfruttamento, che si è spinta fino al punto di vedere direttori di musei pagati come i custodi, ha portato ad una sorta di “mobbing” da parte dello Stato, atta a spingere direttrici/direttori di innegabile esperienza, a consegnare le proprie dimissioni per tornare all’insegnamento.
Si legge e si sente poco parlare su giornali e tele giornali, di questi aspetti della riforma, perché ai dipendenti pubblici è stato imposto un bavaglio mediatico. E’ stato, infatti, vietato loro di fare qualsiasi dichiarazione pubblica ai mezzi di informazione, che non sia filtrata dall’addetto stampa scelto dal Ministero stesso.
Questa lesione alla democrazia appare ai miei occhi ancor più grave delle falle della riforma stessa.
Un altro aspetto discutibile della riforma, sono i concorsi per i nuovi direttori museali, che prevedeva l’apertura delle nomine a figure provenienti dall’estero.
La stessa riforma su questo punto è stata bocciata dal Tar del Lazio in quanto illegale, in base ad una legge del 2001 che impone la dirigenza pubblica a cittadini italiani, e per mancanza di chiarezza nella garanzia di pari diritti di tutti i concorrenti alle nomine.
[…La commissione che ha scelto i direttori era politicamente condizionata, anzi strettamente controllata, dal ministro Franceschini. Il suo presidente (l’eterno Paolo Baratta) attendeva nelle stesse settimane che il ministro derogasse alla legge che gli impediva di rimanere alla guida della Biennale. Altri due membri erano Lorenzo Casini (braccio destro del ministro e autore della riforma oggi censurata dal Tar) e Claudia Ferrazzi (che Franceschini subito dopo nominerà nel cda degli Uffizi e nel Consiglio superiore dei Beni culturali): una maggioranza sufficiente a rendere superfluo il voto degli unici due tecnici indipendenti. Il mandato era chiaro, quasi esplicito: tener fuori tutti i funzionari del Mibact (gli odiati soprintendenti, che Renzi e Boschi avevano annunciato di voler estinguere) e scegliere sconosciuti dal profilo più basso possibile, che fossero poi naturalmente grati al ministro che li aveva scelti. Già, perché la commissione doveva solo allestire una terna, mentre a scegliere era sempre lui, il ministro. Le modalità della selezione (9 minuti per leggere i curricula e meno di 15 per i colloqui) era coerente con questa impostazione.] (cit. Il Manifesto, 26 Maggio 2017)
Non è l’apertura internazionale alle nomine che sconcerta, (volendo tralasciare la legge del 2001), quanto le modalità di scelta. Anche su una rosa di concorrenti italiani ed esteri, le nomine dovrebbero avvenire per meriti e a pari merito prediligere chi proviene dal luogo con i cui beni culturali, quanto meno, ha un legame radicato per appartenenza. Così come avviene in tutto il mondo.
Nel frattempo in attesa di rimediare al “pasticcio” alcuni dei maggiori musei nazionali sono in mano a persone che non hanno mai diretto nemmeno un piccolo museo e ben cinque musei tra cui il palazzo Ducale e il museo archeologico di Napoli, sono senza direttore.
Un Paese in cui non si da il giusto valore alla cultura, perde la propria identità ed un Paese senza identità genera smarrimento e apatia tra le giovani generazioni. I valori che una Nazione come l’Italia dovrebbe trasmettere, sono insiti nella nostra cultura, il dovere di qualsiasi governo sarebbe quello di preservarli e diffonderli e dove possibile migliorarli ed accrescerli.
E’ ciò che il movimento politico il Loto sostiene, il valore della cultura per i giovane e per il Paese stesso.