I protocolli in campo sanitario, sono la standardizzazione di comportamenti diagnostico-terapeutici creati per avere omogeneità nell’assistenza e massimizzazione del rendimento di gestione. Purtroppo oggi più che mai stiamo assistendo a quanto in realtà possono essere dannosi, se applicati alla lettera senza discernimento e autocoscienza. La paura di sbagliare ha soggiogato molti professionisti, tanto da nascondere dietro ai protocolli anche la loro deontologia professionale.
Queste linee guida varate dal ministero della sanità, dovrebbero dare indicazioni generali su come trattare ogni singola patologia, purtroppo da linee guida, sono diventati una vera “Bibbia” per poter muoversi nei grandi numeri. Si perché è di questo che si tratta, di numeri, non più di persone.
Nel momento in cui un medico sceglie di seguire alla lettera il protocollo, dimentica dei punti fondamentali del giuramento di Ippocrate, che presta prima di iniziare la professione
“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:…
• di esercitare la medicina in autonomia di giudizio senza accettare nessuna interferenza o indebito condizionamento;
• di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione preliminare alla raccolta del consenso comprensibile e completa;
• di informare la mia condotta ai principi di solidarietà e giustizia al fine di garantire il rispetto dei diritti civili circa l’autonomia della persona…”
per ogni medico non dovrebbe esistere la malattia, ma il malato, non dovrebbe essere condizionato dai protocolli ma agire con scienza e coscienza.
Recentemente si è aperta una vera e propria diatriba tra medici di famiglia alcuni dei quali si sono costituiti in associazioni sostenendo che è possibile curare il COVID 19 a casa. Curandolo tempestivamente con farmaci disponibili, da tempo, sul mercato e di attestata efficacia. Questi medici hanno preferito usare la loro esperienza e conoscenza per trovare la cura più adatta ai loro pazienti, e non lasciandoli aggravare prescrivendo cure palliative finché non fosse troppo tardi per evitarne il ricovero.
Troppi medici temono le conseguenze delle proprie scelte, al punto da non volersi prendere più la responsabilità di scegliere, lasciando che lo Stato scelga per loro la cura per i loro pazienti, di cui ormai non ricordano più neanche i nomi o la storia clinica.
D’altro canto la Sanità è entrata a piedi pari nel business delle ditte farmaceutiche per cui la prescrizione di determinati farmaci “da protocollo” creano un giro di affari senza eguali, ed i medici vengono “invitati” a prescrivere determinati farmaci che frutteranno miliardi nelle tasche dei soliti “ignoti”.
Le malattie costituiscono certamente una spesa nelle casse di uno Stato che dà assistenza gratuita, per cui non dovrebbe avere interesse a mal curare i propri cittadini, ma bisogna tener conto dell’indotto che le grandi case farmaceutiche guadagnano se la necessità di cura si prolunga nel tempo e quanto siano disposte a pagare per trovare nuovi alleati o governanti compiacenti, non solo ad appoggiare una determinata cura, ma anche nel crearne la richiesta.
E’ possibile opporsi a questo stato di cose che si sta palesando sempre di più, nel momento in cui ogni singolo medico deciderà di uscire dal sistema ed agire seguendo la propria coscienza in virtù dei valori che lo spinsero a scegliere questa professione. Il cambiamento non parte mai dall’alto di chi governa, ma dal singolo uomo che fa una scelta.